Per oltre mezzo secolo, la terapia sistemica per i tumori è stata caratterizzata dalla somministrazione dei farmaci chemioterapici. La maggior parte di questi farmaci ha lo scopo di inibire o uccidere le cellule in rapida divisione. Essi sono spesso somministrati in dosi singole o brevi cicli di terapia alle dosi maggiori possibili con una modalità denominata 'dose massima tollerata (DMT). La terapia DMT richiede la somministrazione ad intervalli (in genere di 2-3 settimane di durata) tra i vari cicli successivi di terapia. Nonostante l’elevato numero di chemioterapici in uso ed il gran numero di studi clinici intrapresi, i progressi sono stati limitati in termini di guarigione o di prolungamento significativo della la vita dei pazienti con cancro, in particolare in quelli con malattia in stadio avanzato o metastatico. Inoltre, i progressi osservati nel trattamento di alcuni tipi di neoplasia si accompagnano spesso alla comparsa de gli effetti collaterali tossici, che ne limitano l’uso prolungato.
Tra gli effetti collaterali più comuni osserviamo, la perdita di capelli, la mielosoppressione ( diminuzione dei globuli bianchi e piastrine del midollo osseo), i danni all’intero intestino con nausea, vomito e mucosite, oltre a problematiche cardiache, renali, effetti neurologici e sul sistema riproduttivo. Inoltre, molti dei farmaci di recente utilizzo nel trattamento oncologico sono i cosiddetti fattori di crescita ed i farmaci anti-nausea, che vengono somministrati ai pazienti con tumore per ridurre la tossicità indotta dalla chemioterapia. Tali farmaci detti 'di supporto ' comportano un onere finanziario non indifferente, oltre ad avere effetti collaterali propri.
Negli ultimi anni è in corso una rivalutazione delle modalità di somministrazione della chemioterapia. Infatti, oltre ad di utilizzare chemioterapia alle massime dosi tollerate (MDT) intervallate con lunghe pause, per consentire il recupero dal gli effetti collaterali nocivi, vi sono numerosi studi nei quali si somministrano i farmaci a piccole dosi continue e ciò sembra efficace non solo in termini di riduzione della tossicità, ma forse anche per il miglioramento degli effetti sulla crescita del tumore. Questa nuova modalità di somministrazione dei farmaci chemioterapici è denominata "chemioterapia metronomica” che si riferisce alla frequente, talvolta quotidiana, somministrazione di chemioterapici a dosi significativamente al di sotto del MDT, senza interruzioni tra i vari cicli.
La terapia metronomica
Ci sono molti elementi che hanno contribuito alla modifica delle usuali modalità di somministrazione dei chemioterapici, in molte sperimentazioni è stato osservato che 'un dosaggio più frequente” può dare risultati migliori '. Infatti, è stato osservato che la 'chemioterapia ad alte dosi” associata ad un trapianto autologo di staminali (per sostituire la distruzione nel midollo osseo delle cellule staminali) non ha fornito il tipo di sopravvivenza previsto, quando questa strategia di trattamento è stata utilizzata per le pazienti con tumore della mammella metastatico. Questo approccio molto costoso, è anche tossico. Inoltre, la chemioterapia 'dose-dense', in cui uno o più chemioterapici viene somministrato ad intervalli piu frequenti (cioè ogni due settimane), ha dimostrato evidenti vantaggi. Questa strategia è solitamente mirata a somministrare almeno la stessa quantità o, più comunemente, una maggiore quantità di un farmaco in un tempo di trattamento totale minore. Quindi, se la somministrazione ogni due settimane è meglio che ogni 3 settimane, allora perché non somministrare i farmaci a scadenza settimanale o addirittura quotidiana? Sembra per certi versi che questa metodologia è conforme con le basi scientifiche della cosiddetta chemioterapia metronomica.
Quindi se la terapia metronomica riduce il livello di tossicità, conseguentemente si riduce o si elimina anche la necessità di ricorrere ai farmaci di supporto contro i gli effetti collaterali (fattori di crescita per accelerare il recupero dalla mielosoppressione o gli antinausea). Inoltre nonostante la riduzione dei dosaggi nella somministrazione dei farmaci, gli effetti antitumorali di quest’approccio, in termini di prolungamento della sopravvivenza potrebbe in realtà essere superiori alla convenzionale modalità di somministrazione a MDT come osservato in alcuni modelli preclinici. Il sostegno scientifico per questa nuova terapia metronomica viene anche da alcuni studi di modellazione matematica A differenza della chemioterapia ad alte dosi, il cui obiettivo principale, è l’eliminazione delle cellule tumorali, l’obiettivo della chemioterapia metronomica sono le cellule endoteliali della rete di vascolarizzazione di un tumore. In sostanza, i chemioterapici a basse dosi sono usati come agenti anti-angiogenici, ed in conformità a quest’ipotesi quindi diviene necessario "Ridefinire l'obiettivo della chemioterapia". Questa è anche la ragione per cui è stato coniato il termine 'chemioterapia angiogenica' per descrivere questa strategia di trattamento.
Effetti anti-angiogenici dei farmaci chemioterapici
I farmaci chemioterapici non si rivolgono specificamente alle cellule tumorali, ma interferiscono con la divisione cellulare, inibendo la replicazione del DNA con differenti modalità. Questi farmaci quindi provocano anche un danno nella normale divisione delle cellule in rapida rigenerazione dei tessuti sani, come ad esempio quelle del midollo osseo, dell’intestino, della mucosa, e dei follicoli dei capelli. Spesso quindi la tossicità e solo di poco minore all’effetto antitumorale, con un indice terapeutico molto piccolo.
Ma se l’effetto di questi farmaci è di impedire la moltiplicazione delle cellule , gli stessi farmaci quindi dovrebbero colpire anche la moltiplicazione delle cellule endoteliali presenti nei vasi sanguigni in crescita che supportano la crescita dei tumori. L’eliminazione di queste cellule endoteliali, o l'inibizione della loro divisione, presumibilmente comporta un effetto anti angiogenico che dovrebbe impedire la crescita della neoplasia. Inoltre, le cellule endoteliali vascolari del nostro organismo sono geneticamente stabili, a differenza delle cellule del cancro, che sono invece geneticamente instabili cioè capaci di sviluppare forme di resistenza ai farmaci,e ciò fa presumere che la somministrazione dei chemioterapici come antiangiogenici (in modalità continua ed a piccole dosi) possa dare risultati più duraturi nel tempo. La letteratura scientifica risalente alla metà del 1980 mostra che praticamente ogni classe di chemioterapici ha una capacità antiangiogenica. Abbiamo affermato che la maggior parte dei tumori, tuttavia, è intrinsecamente resistente ai farmaci o acquisiscono questa resistenza rapidamente, dopo aver mostrato un’iniziale risposta ai regimi chemioterapici. Ma se dopo qualche tempo compare la resistenza delle cellule tumorali ai farmaci, perchè non si osserva l’effetto antiangiogenico sulle cellule endoteliali dei vasi tumorali che non dovrebbero presentare la farmaco-resistenza ? Inizialmente si è ipotizzato che la percentuale delle cellule endoteliali in divisione nel tumore fosse semplicemente troppo bassa perché la chemioterapia avesse un significativo impatto terapeutico(antiangiogenico). In alternativa, le cellule endoteliali potrebbero essere protette dai farmaci chemioterapici per le elevate concentrazioni locali di vari fattori di sopravvivenza cellulare. Una terza spiegazione, dimostrata sperimentalmente in un lavoro pionieristico di Judah Folkman, è che gli effetti anti-angiogenici della chemioterapia sono mascherati e minimizzati dal modo in cui la chemioterapia è di solito somministrata. Infatti, le lunghe pause tra un ciclo e l’altro, necessarie per consentire al paziente di riprendersi dagli effetti collaterali nocivi, potrebbero ridurre gli effetti anti-angiogenici dei chemioterapici. Alcuni ricercatori in quegli anni hanno valutato l’effetto antiangiogenico e gli effetti antitumorali di un farmaco la ciclofosfamide (endoxan) su alcuni topi su cui erano stati trapiantate delle cellule tumorali. Essi hanno scoperto che questo farmaco, quando somministrato alle massime dosi tollerate (l’usuale modalità di somministrazione della chemioterapia), ha causato la morte ( per apoptosi) delle cellule endoteliali della neonata rete vascolare dei tumori trapiantati ed in crescita. Inoltre dopo una accurata analisi temporale si è visto che la morte delle cellule endoteliali precedeva l’effetto citotossici del farmaco sulle cellule tumorali.. Questo effetto anti-angiogenico precoce non si è , tuttavia, tradotto in un beneficio terapeutico significativo, apparentemente perché il danno alla vascolarizzazione del tumore era in gran parte riparato durante il lungo (2-3-settimane) periodo di riposo tra i cicli successivi di somministrazione del farmaco.
È stato quindi proposto che, la ciclofosfamide fosse somministrata più frequentemente, come ad esempio una o più volte alla settimana, senza interruzioni estese, per impedire la ricrescita delle cellule endoteliali tra un ciclo e l’altro del farmaco. Questo, naturalmente, richiese la riduzione della dose del farmaco somministrato con ogni iniezione. Questa modifica nella modalità di somministrazione si è associata ad una evidente riduzione della crescita dei tumori sperimentali trapiantati anche in quei topi i cui tumori si erano ormai dimostrati resistenti alla somministrazione della ciclofosfamide alla tradizionale MDT. In breve, l’acquisizione di una resistenza ad un farmaco potrebbe essere invertita semplicemente modificando le modalità di somministrazione dello stesso e mirando non più alle cellule tumorali, ormai resistenti, ma alle cellule dell’endotelio sensibili all’effetto antiangiogenico.
Precedenti clinici per la terapia metronomica
Retrospettivamente, questi risultati sperimentali in realtà presentano dei precedenti clinici interessanti. Per esempio, il 40% dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), che non ha mostrato alcuna risposta alle dosi standard d’etoposide, somministrato intermittentemente per via endovenosa, ha presentato una risposta evidente ( il tumore si ridotto del 50% di più in volume ) allo stesso farmaco, quando è stato dato per via orale ad un dosaggio più basso con una frequenza inferiore ( tutti i giorni o a giorni alterni), con solo una settimana di pausa al mese. Risultati simili sono stati osservati in pazienti che hanno ricevuto altri farmaci, ad esempio i taxani per il trattamento delle pazienti con tumori della mammella, od ovarici, in fase avanzata. In queste pazienti, vengono sempre più adottati gli schemi di somministrazione settimanale del farmaco, spesso utilizzando una dose del 30-40% inferiore alla dose massima tollerata somministrata ogni 3 settimane. Tuttavia, è opportuno sottolineare che questi risultati sono osservati in studi sperimentali.
La terapia metronomica è simile in molti modi ai regimi prolungati di chemioterapia di mantenimento, che sono utilizzati per trattare i bambini con alcuni tipi di tumore, come la leucemia linfoblastica acuta. La terapia di mantenimento in questo caso prevede la somministrazione a basse dosi di metotrexate orale, su base settimanale, per un massimo di 3 anni. Questo trattamento è somministrato subito dopo una remissione di malattia, ottenuta dopo regimi di chemioterapia standard. Diversi studi hanno indicato che i farmaci utilizzati in questo tipo di terapia di mantenimento dimostrano un effetto anti-angiogenico. Il successo di questi schemi sequenziali con chemioterapia ad alte dosi seguite da una somministrazione a basse dosi per sfruttare l’effetto antiangiogenico a lungo termine videnzia la possibilità che questi due tipi di regimi, non si escludono a vicenda, ma possono essere utilizzati in modo sequenziale con effetti benefici. Questo approccio dovrebbe essere considerato per gli adulti, soprattutto se combinato con farmaci prima citostatici e quindi antiangiogenici per la terapia a lungo termine.
Direzioni future
Nonostante i benefici potenziali della chemioterapia metronomica o antiangiogenica , in particolare quando utilizzata in associazione con i nuovi farmaci molecolari, vi sono diverse significanti problematiche che devono essere superate per aumentare le possibilità di successo nelle sperimentazioni cliniche. Primo tra tutti è necessario superare la fase empirica della sperimentazione ed è necessario determinare la dose ottimale e la sequenza nella somministrazione dei chemioterapici. In altre discipline mediche sono state definite le concentrazioni minime efficaci, come avviene per esempio nel trattamento di pazienti affetti da malattie infettive o da epilessia. L’obiettivo è quindi quello di individuare la dose più piccola che permetta il controllo delle cellule bersaglio e quindi la sequenza ottimale che permetterà di ottimizzare questo controllo nel tempo. Speriamo che, alcuni degli studi clinici che sono in corso, specialmente quelli randomizzati, possano chiarire le potenzialità di questo strategia terapeutica, in particolare quando questi nuovi regimi chemioterapici verranno integrati con i nuovi farmaci molecolari. In particolare, vi è la necessità di appurare quali siano i chemioterapici più efficaci per la terapia metronomica, quali combinazioni e sequenze siano le migliori e quali meccanismi di resistenza potrebbe svilupparsi nel tempo. Inoltre, sarà importante determinare i tipi di neoplasie, che potrebbero essere più sensibili verso questi approcci terapeutici. E’ importante che gli scienziati che effettuano la ricerca di base possano portare avanti ulteriori studi preclinici e continuare a lavorare a più a stretto contatto con i clinici che stanno portando avanti le sperimentazioni cliniche sulla chemioterapia metronomica, allo scopo di approfondire le reali potenzialità di questo nuovo approccio terapeutico per la cura dei tumori.