In Italia si è nuovamente riacceso il dibattito sul testamento biologico e sull’opportunità di trovare una legge giusta che possa rispettare il diritto di ogni singolo cittadino di poter scegliere come morire. Per questo motivo sul nostro sito abbiamo cercato di riportare in parte il dibattito in corso in tutto il mondo per quanto riguarda “la qualità della morte”. In questo ambito abbiamo deciso di tradurre parte di un documento pubblicato dall’Economist Intelligenge Unit e denominato “Qualità of death”. L’interro documento in pdf può essere scaricato dal nostro sito ( www.ryderitalia.it/images/qod.pdf) e dovremmo cercare di diffonderlo a tutti coloro che sono interessati al problema delle scelte di fine vita. Si evince dal documento che nella maggior parte dei paesi del mondo il dibattito pubblico sulle direttive anticipate o testamento biologico, sull’eutanasia e sul suicidio assistito, nonostante l’attenzione che ha su tutti i media, riguarda soltanto una piccola percentuale di malati terminali. I progressi della medicina hanno permesso, sopratutto nei paesi occidentali, un aumento della sopravvivenza, ma il problema della qualità della morte è rimasto inalterato o forse peggiorato, considerando le modificazioni della nostra società, dove non esiste una famiglia od un tessuto sociale capace di farsi carico di questo problema, che spesso ricade sul medico, sul caregiver e sui familiari che dovrebbero essere adeguatamente formati e supportati in questo ruolo di accompagnamento. Il più delle volte questo non avviene, in particolare nella maggior parte dei paesi non esiste nessuna forma di assistenza sanitaria di base che permetta prima di curare, ed in seguito di accompagnare i malati alla fine della vita. In questo rapporto, che potrete trovare sul sito della nostra asscociazione: www.ryderitalia.it il “Worldwide Palliative Care Alliance” sostiene che ogni anno circa 100 milioni di persone in tutto il mondo dovrebbero usufruire di servizi di cure palliative, ma solo meno del 8 % hanno la possibilità di accedere ad una assistenza di questo tipo. I numeri nel nostro paese descrivono una realtà simile, siamo al 24 mo posto nella graduatoria del “Quality of End-of-Life Care” e siamo anche tra gli ultimi in Europa come servizi domiciliari e le due realtà sono strettamente connesse. Non si può pensare di migliorare la qualità dei servizi di Cure Palliative se non si sviluppano i servizi a domicilio, in un paese dove ogni giorno vengono tagliati posti letto per motivi economici e non si investe su servizi alternativi sul territorio abbandonando i più deboli ad un futuro tragico. In mancanza di un assistenza di base, la maggior parte dei malati, se non assistiti in modo adeguato e soprattutto umano, perché non dovrebbero chiedere di interrompere un esistenza fatta di dolore, solitudine ed abbandono. Di qui forse una maggiore attenzione nei riguardi della posizione in difesa del principio del diritto alla vita, come diritto di avere un livello minimo di assistenza quello che in gran parte del mondo è del tutto carente.
La qualità della morte: classificazione delle cure alla fine della vita nei paesi di tutto il mondo
(executive summary del libro bianco pubblicato da Economist Intelligence Unit su commessa della Lien Foundation – ulteriori informazioni sono sul sito www.qualityofdeath.org )
Executive Summary
“Qualità della vita” è un modo di dire comune. La maggior parte dei comportamenti umani sono palesemente tesi a migliorare la qualità della vita, o per la comunità o per il singolo individuo, e il concetto ultimamente coinvolge molti degli aspetti della politica e delle imprese private.
I recenti sviluppi nella cura delle malattie sono responsabili dei più significativi passi in avanti in termini di qualità della vita: il fatto che si viva (mediamente) più a lungo e più sani di prima è un punto acquisito. Ma la “qualità della morte” è un altro argomento. La morte, sebbene inevitabile, è angosciante a vedersi e in molte culture costituisce un vero e proprio tabù. Anche quando l’argomento può essere affrontato, per i medici gli impegni assunti con il giuramento di Ippocrate non coincidono facilmente con la richiesta di cure palliative alla fine della vita, quando il ricovero del paziente è improbabile e spetta al medico (o a chi svolge l’assistenza del malato) minimizzare le sofferenze mentre la morte si avvicina. Troppo spesso questa terapia non si può avere per nulla: secondo la Worldwide Palliative Care Alliance, mentre più di 100 milioni di persone avrebbero bisogno di hospice e cure palliative (compresi i familiari che assistono i malati e che hanno bisogno di aiuto e di supporto nell’assistenza) meno dell’8% di quanti ne hanno bisogno possono accedervi.
Poche nazioni, inclusi quelle ricche con sistemi assistenziali all’avanguardia, includono strategie per le cure palliative nella loro politica assistenziale complessiva – nonostante che in molti di questi paesi l’aumento della longevità e della popolazione anziana comporteranno verosimilmente un brusco aumento della richiesta di cure alla fine della vita. A livello globale, raramente l’esperienza per le cure palliative è inclusa nei curriculum del personale assistenziale. Le istituzioni che si specializzano in cure palliative e di fine vita spesso non fanno parte del sistema sanitario nazionale e molte si basano sui volontari o su donazioni. In aggiunta a questo, la disponibilità di medicine che bloccano il dolore – alla base di qualunque terapia del dolore – è deplorevolmente inadeguata in molte parti del mondo, spesso per problemi connessi con uso e traffici illeciti. Il risultato di tutto ciò è un incalcolabile eccesso di sofferenza, non solo per i pazienti in punto di morte, ma anche per i loro cari. Chiaramente un maggiore inserimento delle cure palliative in un più ampio contesto di politica sanitaria e il miglioramento delle cure per la fine della vita – aumentando la “qualità della morte” – porterebbero un significativo aumento della qualità della vita di tutta l’umanità.
Con queste idee, la Economist Intelligence Unit (EIU) ha avuto incarico dalla Lien Foundation, una organizzazione filantropica di Singapore, di trovare un “Indicatore di qualità della morte” in base al quale classificare le varie nazioni in funzione della loro capacità di fornire cure di fine vita. Inoltre, la EIU ha intervistato esperti in tutto il mondo e ha rianalizzato la letteratura esistente sul tema delle cure di fine vita, per produrre questo libro bianco sul tema della “Qualità della morte” quantificata in base alla classificazione dell’Indicatore definito. Non tutti i complessi aspetti culturali, etici e sociologici connessi alla morte sono stati considerati nella definizione dell’Indicatore, ma molti sono stati esaminati almeno qualitativamente. (L’Indicatore e il libro bianco non trattano i problemi connessi con le morti violente o accidentali, che rappresentano indubbiamente una grande causa di sofferenza alla fine della vita, ma che difficilmente possono essere correlati con gli standard della assistenza sanitaria). I risultati sono riferiti al contesto del paese e si è cercato di definire i punti da tenere in conto per le politiche assistenziali per le cure di fine vita.
I risultati principali sono:
L’Inghilterra guida la classifica per la rete di hospice e il coinvolgimento pubblico nelle cure di fine vita ed è risultata la prima tra 40 nazioni misurate. E ciò nonostante il sistema sanitario inglese sia ben lontano dall’essere perfetto (è classificato al 27-esimo posto nella valutazione della sottocategoria “condizioni base delle cure di fine vita”, che pesa per il 20% sulla valutazione complessiva). Ma l’Inghilterra è la prima in classifica nella sottocategoria “qualità delle cure di fine vita” che comprende la consapevolezza delle amministrazioni pubbliche, la disponibilità di formazione, l’accesso a farmaci anti dolore e la trasparenza tra medico e paziente (sottocategoria che pesa per il 40% sulla valutazione complessiva). Tuttavia, nel punteggio complessivo, molti paesi ricchi sono decisamente indietro; tra questi la Danimarca (22-esima), l’Italia (24.esima), la Finlandia (28.esima) e la Corea del Sud (32-esima). In questi casi la qualità e disponibilità di cure è scarsa e manca una politica di coordinamento.
La morte e il morire sono stigmatizzati in alcune culture al punto da essere dei veri e propri tabù – come nella cultura cinese. Nelle società occidentali la morte è diventata “medicalizzata” e le terapie curative hanno spesso la priorità rispetto alle cure palliative. Negli USA la discussione delle cure di fine vita spesso infiamma i sentimenti religiosi di chi difende a spada tratta la santità della vita. Il tema è complicato dal fatto che il concetto di hospice è spesso associato al concetto di resa e abbandono.
Il dibattito su questi temi monopolizza l’attenzione dei media, ma riguarda solo una piccola percentuale di malati terminali. (Di conseguenza le politiche su questi temi non sono state considerate nella definizione dell’Indicatore, anche se gli aspetti legali degli ordini di “non resuscitate” sono inclusi). Ciò nonostante, la pressione sugli uomini politici su questi temi può funzionare da catalizzatore per migliorare i servizi di cure palliative – come in Australia dove la trasformazione a livello federale di una legge regionale sulla eutanasia del 1996 ha portato a un aumento dei fondi nazionali per le cure di fine vita.
Il controllo del dolore è il punto di partenza di tutte le cure palliative e la disponibilità di oppioidi (morfina e equivalenti) è fondamentale per la qualità delle cure di fine vita. Ma in tutto il mondo si stima che 5 miliardi di persone non hanno accesso agli oppioidi, principalmente per problemi che riguardano l’uso illecito delle droghe e i traffici relativi. Anche la mancanza di adeguata formazione rappresenta un problema con molti medici e infermiere che non sanno come somministrarli.
In molti paesi – anche dove le cure palliative sono previste dal sistema sanitario nazionale o dalle assicurazioni obbligatorie – le organizzazioni per l’assistenza ai malati terminali si basano su donazioni o attività filantropiche per fornire il necessario supporto. Negli USA per esempio, dove le cure palliative sono previste nelle assicurazioni mediche pubbliche, i pazienti devono rinunciare alle terapie curative per avere diritto al rimborso (al contrario dell’ Inghilterra dove si possono attuare entrambe le terapie contemporaneamente).
Aumentando la percentuale di cure in comunità o a domicilio, le cure palliative possono ridurre i costi associati ai ricoveri in ospedale e agli accessi al pronto soccorso. Negli USA in particolare, a seguito della recente riforma sanitaria, questo punto diventerà il centro di un dibattito. In Spagna, per esempio, uno studio del 2006 ha mostrato che lo spostamento dalle cure convenzionali in ospedale verso le cure palliative, con aumento delle cure a domicilio e una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva, ha portato risparmi del 61% in confronto ai dati di spesa esposti in uno studio del 1992. Tuttavia i costi delle cure palliative per malati non di tumore sono più alti delle cure per i malati di tumore. E visto che la popolazione diventa sempre più anziana, sarà necessario un aumento complessivo di cure di fine vita.
Le aree pionieristiche nei paesi in via di sviluppo – come l’Uganda e lo stato di Kerala in India – mostrano l’importanza di avere una copertura politica ad alto livello per le strategie di cure palliative. Eppure solo 7 paesi di quelli esaminati hanno una politica nazionale in essere (altri 4 la stanno sviluppando). In altri paesi la consapevolezza ad alto livello non ha portato a politiche nazionali coerenti: le dichiarazioni di principio (come quelle della Commissione Europea) non sono sufficienti. Le cure di fine vita devono essere parte del cuore della politica ed è vitale una più profonda integrazione delle cure palliative nel sistema sanitario nazionale.
Molte cure palliative possono essere (e sono) somministrate a casa; infatti, oltre il 75% di quanti ricevono queste cure negli USA muore a casa. Ciò è spesso indicativo dei desideri del paziente, che possono essere ignorati nella medicina curativa convenzionale. Tuttavia è necessario costruire una adeguata capacità, soprattutto per la formazione di chi assiste i malati, per avere cure a casa con uno standard qualitativo sufficientemente alto. La tecnologia sarà di crescente importanza per le cure a casa sia per mettere in contatto le persone dei paesi in via di sviluppo con i medici usando i telefonini oppure per effettuare il monitoraggio a distanza di qualche apparecchio medicale usando sistemi più sofisticati.
Metodologia usata per la definizione dell’Indicatore
L’Indicatore della “Qualità della morte” misura le condizioni attuali per i servizi di fine vita in 40 nazioni: 30 sono membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE, o OECD o OCDE con acronimo inglese e francese rispettivamente) mentre 10 sono altre nazioni scelte sulla base della disponibilità di dati. Il team di ricercatori dell’ Economist Intelligence Unit (EIU) ha individuato l’Indicatore, raccolto dati e costruito il modello utilizzando un’ampia gamma di indicatori disponibili. Sono stati intervistati numerosi medici, specialisti e altri esperti per compilare e verificare i dati.
L’Indicatore assegna un punteggio ai paesi su quattro aspetti: condizioni base per l’assistenza di fine vita; disponibilità di cure di fine vita; costi delle cure di fine vita; e qualità delle cure di fine vita. A livello di singolo indicatore 27 rientrano nelle seguenti tre categorie:
L’indicatore globale è un punteggio aggregato di tutti i singoli indicatori sottostanti, normalizzato per rendere i dati paragonabili. I dati sono prima aggregati per categoria e poi complessivamente sulla base degli indicatori sottostanti. Per stabilire i punteggi per categoria ogni indicatore viene pesato con coefficienti definiti dal team di ricerca della EIU dopo essersi consultati con gli esperti intervistati per la ricerca. A ogni categoria è poi assegnato un peso nella valutazione globale; in particolare alla qualità delle cure di fine vita è assegnato il peso maggiore pari al 40% ; la disponibilità di cure pesa il 25%; mentre le condizioni base per l’assistenza di fine vita valgono il 20% e i costi il 15%.
Maggiori dettagli sono disponibili scaricando gratuitamente il libro bianco al seguente link https://ryder.lattecreative.com/wp-content/uploads/2017/11/QOD_main_final_edition_Jul12_toprint-146.pdf
Il documento originale dell'Economist, in inglese, lo potete scaricare da questo link :