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Il salario minimo garantito : un problema spesso limitato a semplici considerazioni economiche

Negli ultimi giorni, la proposta del presidente dell’INPS Tito Boeri sul salario minimo garantito di 500 euro alle persone con più di 55 anni che non hanno una fonte di reddito  (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/08/pensioni-le-proposte-di-boeri-reddito-minimo-55-e-flessibilita-sostenibile/1856534/) ha suscitato un evidente interesse perché permetterebbe di sostenere economicamente una delle fasce più deboli  della popolazione italiana. Una proposta simile –e allargata ad una platea più ampia - fa da tempo parte del programma del Movimento 5 stelle. Anche il Pd, il partito di governo, sostiene di aver pensato ad un progetto simile per quanto riguarda i giovani. Ma in Italia il dibattito su questo genere di proposte rimane spesso limitato in un ambito prettamente economico mentre da tempo in altri Paesi le misure che mirano a sostenere economicamente le fasce più deboli della popolazione sono più esplicitamente collegate alla possibilità di migliorare i parametri sanitari direttamente connessi con il livello di povertà.

In campo medico, soprattutto nei paesi anglosassoni, è stato introdotto il concetto di medicina sociale, come nuova modalità di approccio all’intervento sanitario, che non tiene conto solo di problematiche mediche ma individua come altrettanto importanti il livello di educazione, la situazione economica ed i fattori culturali delle persone che necessitano di assistenza. A fine settembre la rivista New Scientist  (https://www.newscientist.com/article/mg22830413-400-pay-people-a-living-wage-and-watch-them-get-healthier/) ha pubblicato un articolo che affronta il problema della povertà come fattore di rischio per la salute mentale e fisica, non solo del singolo, ma di intere comunità.

Riferendosi alla situazione di Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, l’articolo sostiene che un salario troppo basso attribuito a lavoratori, anche a tempo pieno, finisce con far scivolare le loro famiglie tra le fasce più povere della popolazione. Questo non si traduce solo nella difficoltà a sostenere i numerosi costi della vita quotidiana ma ha anche implicazioni gravi sulla loro salute.

Infatti le persone povere non hanno risorse sufficienti a garantirsi una buona protezione sanitaria né condizioni abitative sicure. Secondo dati internazionali, queste persone presentano una maggiore incidenza di fattori stressanti e, conseguentemente, si ammalano più spesso e presentano indici di mortalità più elevati. I bambini di famiglie povere presentano un maggior livello di depressione e di disturbi cognitivi e hanno notevoli problemi scolastici, per non parlare dei nuovi nati che presentano un più elevato tasso di mortalità nel corso dell’infanzia (http://www.macses.ucsf.edu/downloads/Reaching_for_a_Healthier_Life.pdf).

L´approccio tradizionale si limita ad offrire servizi socio-sanitari adeguati mentre la risposta per un intervento pubblico efficace in ambito sanitario dovrebbe prevedere anche un salario adeguato a chi ha un impiego e un salario minimo a chi è escluso dal mercato del  lavoro.

La povertà comporta la marginalizzazione delle persone, con conseguente esclusione sociale che ostacola un intervento sanitario efficace. Il quadro si aggrava ulteriormente se la povertà si associa alla solitudine. Il censimento 2011 effettuato dall’ISTAT segnala che in Italia le famiglie formate da una solo componente sono oltre i 7 milioni (http://dati-censimentopopolazione.istat.it/). Nel lontano 2003, quando in Europa ed in particolare in Francia ci fu una fortissima ondata di calore, fu effettuato in Francia uno studio epidemiologico che individuò che la gran parte delle persone decedute erano persone anziane che vivevano sole, con basso reddito, con più patologie, che vivevano in ambienti malsani e, soprattutto, socialmente isolate dalla comunità. Altre ricerche indicano che l’emarginazione sociale determina un peggioramento nelle capacità cognitive ed emotive delle persone che si accompagna spesso con la comparsa di diversi disturbi psicofisici e cognitivi.

La domanda è: migliorare il salario o comunque offrire un reddito adeguato alle persone può migliorare la loro salute?

Alcuni studi sembrano dire di sì. Una ricerca effettuata nel Nord Carolina ha confrontato la valutazione psichiatrica di bambini di famiglie povere prima e dopo aver ricevuto un sostegno economico (http://hsb.sagepub.com/content/46/4/359.abstract). Quando, grazie al sostegno, le famiglie uscirono dalla povertà, la sintomatologia dei bambini migliorò. Ma il dato più importante apparse chiaramente dopo 4 anni, quando i bambini di queste famiglie non presentavano differenze rispetto ai bambini di famiglie che non avevano mai vissuto in povertà (http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=197482).

Una società che mette in piedi misure in grado di offrire o un salario decente o un sussidio per le persone senza lavoro limita quindi la loro esclusione sociale e, di conseguenza, diminuisce i loro problemi fisici e psicologici. Questo vale sia per i singoli individui che per intere comunità. È quindi opportuno che questa proposta venga portata avanti a livello politico non solo per semplici considerazioni economiche ma soprattutto per le conseguenze sanitarie legate alla povertà. In questo modo è possibile  incidere sui costi della sanità pubblica, in genere più elevati quando si interviene su patologie già manifeste, mentre la prevenzione evita che le persone sviluppino molte di queste patologie o addirittura peggiorino quelle di cui sono affette.

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