IL RIFIUTO
Lo studente di medicina osservava con attenzione. In un reparto ospedaliero sovraffollato il tempo è poco e l’insegnamento dei giovani medici carente. Tra l’esame di un linfonodo, e un fegato ingrossato, si spera sempre di trovare il tempo di insegnare ciò che serve per essere un
buon medico. Cercavo di mostrargli velocemente alcuni aspetti essenziali della nostra professione, mentre tentavo di convincere i pazienti di sottoporsi alla chemioterapia; quindi presi una nuova cartella, di una paziente che era stata inserita d’urgenza in seguito alla richiesta del suo medico. La presentai allo studente di medicina, che rispettosamente la osservò da dietro il letto.
“ Come si sente oggi”, le chiesi, sfogliando la cartella della paziente.
“Okay”.
Era una donna semplice, in soprappeso, intorno ai cinquanta anni, ben protetta dal freddo invernale da uno spesso montgomery e da vari vestiti. Una sciarpa lavorata a mano le avvolgeva il collo.
“Allora, quando è stata qui l’ultima volta?”
“Tempo fa.”
“Penso che sia andata perduta una parte della sua diagnosi. Le ultime annotazioni sono di sette mesi fa.”.
Mi guardava senza fare alcun commento.
“ Vedo che le è stato diagnosticato un cancro al seno, e che è stata sottoposta alla chemioterapia. Non trovo la cartella della sua operazione, o qualsiasi altra annotazione. Smisi di cercare notizie sul computer. “ Mi sa dire cosa è successo dopo?”
“Non molto.”
Sospirai, realizzando che dovevo lentamente ricostruire la sua storia, mentre la fila di pazienti fuori andava aumentando. Le precedenti annotazioni rivelarono che la paziente si era presentata con un cancro al seno in fase avanzata. Un team multidisciplinare dell’ospedale
aveva valutato la necessità di eseguire una chemioterapia pre-operatoria, seguita da una mastectomia, una radioterapia, ed una terapia a base di ormoni. Il file del computer riportava i progressi dovuti alla chemioterapia, prima che questa fosse interrotta di colpo.
“Com’era la chemio? “
“ Non ero così malata come loro avevano diagnosticato.” Era evidente una nota d’orgoglio nella voce.”.
“ Bene! E l’operazione?”
“ Non mi hanno operato.”
“ Il chirurgo ha forse cambiato idea?”
Sembrava incerta”. “Forse sì.”
“Che cosa disse?”
Come per miracolo, una lettera del medico di base ondeggiò sul pavimento. Mi resi conto che voleva informarmi della sua assistita. Affermava che dopo un lungo intervallo, la paziente ripresentatasi per un controllo diabetico, aveva evidenziato nuovamente la presenza del
tumore senza fornirgli ulteriori dettagli. Per piacere, può farmi sapere qual è la situazione?, mi implorava nella lettera.
Feci un sobbalzo. “ Le indicazioni affermano che lei avrebbe dovuto farsi vedere dal chirurgo dopo la chemio. Cosa le disse”?
Accorgendosi della mia ansietà, rispose molto velocemente.” No, chiamai per un appuntamento il day hospital, e mi hanno risposto che avrebbero richiamato loro. Nessuno mi ha richiamato, ho pensato di essere guarita.”
Per poco non lasciai cadere il suo file per la sorpresa.
“ Che cosa ha fatto dopo?”
“ Ho ripreso il lavoro.”
“ Ma dopo tutto quello che le era stato detto all’inizio, non ha pensato ad un ulteriore trattamento? “ No, quando nessuno mi ha chiamata ho pensato di aver finito con i trattamenti”.
“ Ma aveva ancora un rigonfiamento al petto” esclamai.
La mia espressione interrogativa incontrò il suo passivo sguardo fisso. Rispose al mio stato d’urgenza scuotendo le spalle.
“ Posso visitarla?”
“Certo”.
Lo studente di medicina ci osservava stupefatto. Come la paziente si tolse la sciarpa, apparve una grossa protuberanza al collo. Si gonfiava sulla sinistra, sfigurandole il collo, con numerose vene dilatate sul petto.
Le toccai il gonfiore con un dito. “Da quanto tempo sta crescendo?”
“ Da tanto”.
“E’ più grosso ora ? “
“Forse .Hanno affermato che poteva essere la tiroide.”.
“ Potrebbe essere un cancro”.
“ Oh!”
Mi feci forza per procedere. Il suo seno di destra era duro, alterato dal cancro, una massa raggrinzita, amorfa, priva della sua originale femminilità. Il tumore minacciava di aprirsi in superficie ad ogni momento. Le pieghe di grasso nell’ascella rendevano impossibile individuare qualsiasi adenopatia. Mi tenevo indietro, sgomento e orripilato.
“Non si è meravigliata di quel che le stava succedendo?”.
“ No, pensavo di esser stata curata”, insistette, e questo era quel che pensava fosse la realtà”.
Fui sommerso da un’andata d’irritazione. Cercai di non sembrare un inquisitore, ma quasi non ci riuscivo.
“ Non ha mai pensato di farsi viva una seconda volta, o anche farsi viva col suo dottore quando non ricevette nessuna risposta da noi”?
“ Non volevo annoiare nessuno”. Provai a risponderle, ma lei mi precedette, chiedendomi con voce grave: “Ha mai provato ad interrogare pazienti di un day hospital ? Ogni volta il malato si trova davanti un medico diverso, e non si sa mai cosa chiedere, e su cosa”.
Cambiai tattica. “ E’ forse depressa “? chiesi gentilmente, cercando di unificare il tema tra la malattia che avanzava e la sua incapacità ad accettarla.
“ No”.
Tentai un’ultima volta. “ Temo che il suo cancro si sia propagato. Dovremo sottoporla ad una nuova indagine.
“ Okay”.
Non avevo la benché minima idea a cosa stesse pensando. La sua passività nascondeva l’apprensione e il rimorso che provava. Ma subito dopo mi disse con grande semplicità, “ Mi sottoporrò a qualsiasi esame lei desideri. Penso che avrei dovuto farmi viva prima”?.
Sarebbe stato per me più facile continuare la conversazione se avesse manifestato una qualche emozione, paura per il futuro o rabbia per essere stata abbandonata.
“No.”
“ E’ sicura che tornerà”, provai a dire.
“ Sì, voglio che lei mi faccia un checkup completo.”
Smisi di sgridarla e la accompagnai alla porta.
Quando ritornai, lo studente di medicina esclamò con aria trionfante: “Ha una massa enorme,
e nonostante ciò lei nega, e non vuole sapere della sua malattia, il classico rifiuto, non crede?”
Fui quasi tentato di abbracciare questa diagnosi, che avvallava l’immagine di un paziente incapace di comprendere la realtà, per assolvere il medico da ogni responsabilità. Questa singola parola, scarabocchiata sul suo schedario, avrebbe potuto cambiare il modo con cui il
prossimo medico che la visiterà dopo di me, affronterà il nuovo percorso terapeutico. In un ospedale sovraffollato è molto facile farsi etichettare come paziente non collaborativo. Ma in base a quello che la paziente mi aveva detto, applicarle questa etichetta non mi avrebbe fatto sentire privo di colpa. Anche con le migliori intenzioni, ed una attenta valutazione delle condizioni del paziente, l’attenzione ai singoli pazienti talvolta viene fuorviata. Il percorso di questa paziente cominciò senza particolari problemi; si presentò sollecita, si sottopose ad
un’estenuante chemioterapia, e si presentò ad ogni appuntamento fissato. Poi, la transizione tra l’oncologo medico e il chirurgo oncologo fallì. Quando la richiesta della paziente al day hospital non ebbe risposta, ella suppose che il silenzio e gli incoraggiamenti precedenti sugli
effetti positivi della chemio fossero segnali di guarigione. Per lei non aver notizie significava buone notizie, a differenza di quanto avviene con i pazienti cronici che desiderano recuperare un normale stato di salute. Le infermiere del reparto d’oncologia inesplicabilmente persero le sue tracce, il medico di famiglia reputò che la terapia spettasseall’ospedale e non si preoccupò della scomparsa della sua paziente. Nei mesi successivi, la paziente continuò a sentirsi bene, e lavorò a tempo pieno. Aveva una piccola famiglia, e i suoi colleghi probabilmente ritennero inopportuno chiedere della sua malattia ad una collega apparentemente in buona salute. Così, tutte le molteplici individuali supposizioni compromisero il risultato.
Per molti medici, può sembrare incomprensibile che la donna non abbia compreso gli aspetti essenziali del suo percorso di cura. In realtà, non è poi così incredibile che un paziente si dimentichi, o anche non comprenda pienamente in un momento psicologicamente vulnerabile,
l’intero iter terapeutico, soprattutto se caratterizzato da aspetti complessi. Quando consigliamo ai pazienti un insieme di cure multi-disciplinari, spesso assicuriamo loro che le cose gradatamente si metteranno a posto. L’intenzione può servire ad evitare informazioni
eccessive, ma talvolta messaggi fondamentali vengono trascurati. Fu uno sbaglio della paziente l’aver dedotto che se la sua malattia era talmente grave, qualcuno avrebbe dovuto fare maggiori sforzi per informarla della necessità della terapia. Benché lei fosse incapace di
considerare la gravità del suo tumore alla mammella, è troppo semplice etichettare questo atteggiamento come - rifiuto.
In un ospedale che elargisce parte delle cure mediche su pazienti in day hospital, la storia di questa paziente è un esempio particolarmente significativo. La nostra società si trova davanti un notevole incremento di malattie croniche, e gli ospedali sono sotto pressione per ampliare
l’accesso a più pazienti. Ma l’abilità a mantenere un alto standard di cura dipende dall’ambiente in cui si opera. Benché i medici riconoscano che la cura della malattia debba essere adattata al paziente, nella realtà spesso un singolo protocollo viene utilizzato per tutti i pazienti. Con quest’inefficienza a considerare le esigenze del malato, come possiamo essere sicuri che il paziente si rechi all’appuntamento successivo? Per molti pazienti, che hanno a che fare con i servizi disorganizzati di un day hospital, diventa sempre molto difficile continuare le cure di un trattamento prolungato.
La necessità di abbandonare il paternalismo medico, soprattutto in un’età di superspecializzazione, può talvolta esser causa dell’abbandono della responsabilità verso i pazienti. Ma se i medici non riescono più a seguire le varie fasi del percorso di cura, gli infermieri professionali e gli assistenti medici potrebbero rappresentare un utile legame nell’ assicurare un responsabile – medico o sanitario - per la cura di ciascun paziente. Forse possiamo anche imparare dalle industrie che gestiscono un gran numero di beni e servizi usando attivi sistemi per controllare, i prodotti durante il viaggio e dare un segnale d’allarme in caso di contrattempo.
In molti ospedali e cliniche, minimi sforzi vengono attivati per determinare le motivazioni di un paziente che non rispetta un appuntamento. La cattiva comunicazione è purtroppo frequente, tra i pazienti e gli ospedali, tra i reparti di degenza ed i medici di base, che sono spesso lasciati fuori dal percorso terapeutico, perdendo quindi il filo e quindi l’interesse, per la cura dei loro pazienti. Più è complicata la malattia di un paziente, meno coinvolto è il medico di base è maggiormente dipendente diventa il paziente nei confronti del sistema ospedaliero, soprattutto per le visite urgenti. Garantire un tranquillo passaggio dall’ospedale alle cure territoriali, è vitale per ridurre il peso dei servizi ospedalieri.
Tornando al mio studente di medicina, cercai di ricavare da questo caso una lezione che fosse per lui utile, oltre che la semplice delusione per il sistema pubblico ospedaliero. Gli spiegai che è essenziale non classificare i pazienti prematuramente. Benché io abbia valutato questa paziente come affetta da una malattia terminale, per lei la malattia rappresentava un danno che non era scomparso, nonostante tutti i trattamenti a cui si era sottoposta. Per lei era necessario riprendere fiducia in noi, ma da parte nostra era necessario sospendere il giudizio e riprendere il trattamento. Perché il trattamento rappresentava per lei l’unica speranza di guarigione - e la nostra unica speranza per fare ammenda. Il suo non era un reale rifiuto. Né sarebbe dovuto esserlo il nostro.