Le ultime decadi hanno visto un notevole miglioramento nella conoscenza degli aspetti molecolari di una neoplasia e conseguentemente lo sviluppo di farmaci specifici che abbiano come bersaglio questi aspetti. Nonostante ciò, nel caso di pazienti con tumori solidi in fase metastatica, la sopravvivenza in genere è sempre misurata in termini di mesi e non di anni. Nonostante l’esistenza di pazienti con una lunga sopravvivenza, nella maggior parte dei malati con malattia in fase avanzata la risposta alle terapie è spesso temporanea, soprattutto per la inevitabile proliferazione di popolazioni cellulari resistenti. Per questo motivo alcuni ricercatori ed in particolare il dottor Robert Gatenby, un oncologo molecolare che lavora in Florida, sostengono che la neoplasia dovrebbe essere considerata dal punto di vista della biologia evolutiva e non solo un processo molecolare.
Alcuni studi sembrano indicare che nei pazienti con malattia in fase avanzata l'utilizzo tradizionale della chemioterapia ad alto dosaggio possa risultare controproducente.
Questo tipo di terapia mira alla distruzione del numero più alto di cellule tumorali con la speranza di raggiungere, dopo varie somministrazioni, la cura della malattia.
Alcuni ricercatori sostengono invece che una neoplasia può essere controllata con maggiore efficacia somministrando bassi dosaggi di chemioterapici, rispetto alla tradizionale modalità di somministrare gli stessi farmaci in alto dosaggio. L’utilizzo delle alte dosi di farmaci in particolare nei pazienti con malattia in fase metastatica tende a selezionare soprattutto le cellule neoplastiche ormai resistenti ai farmaci.
Questi ricercatori hanno effettuato uno studio preliminare su dei topi a cui erano stati trapiantati alcuni tumori. A questi animali è stata somministrata la terapia tradizionale con farmaci ad alto dosaggio con l’obiettivo di uccidere il numero maggiore di cellule neoplastiche. II risultati hanno evidenziato una sopravvivenza diminuita rispetto al gruppo di animali con una somministrazione dei farmaci a basso dosaggio. La chemioterapia standard inizialmente riduce i tumori nei topi, ma non appena questa terapia viene interrotta, si osserva una ricrescita veloce della malattia con una progressione della neoplasia estremamente rapida.
I ricercatori sostengono che un trattamento aggressivo può dare risultati a breve termine molto evidenti, ma con il tempo la somministrazione intermittente ad alti dosaggi tende a sviluppare soprattutto ceppi di cellule resistenti che facilitano la ripresa di malattia e anche la diffusione di metastasi.
In verità è stato visto nei tumori solidi il completo sradicamento di una neoplasia è un risultato difficilmente raggiungibile (circa nel 5% dei pazienti) e la somministrazione ad alte dosi comporta numerosi effetti collaterali che provocano la perdita di capelli, la nausea, molta stanchezza e soprattutto obbligano a interrompere con una certa frequenza il trattamento.
Questi ricercatori sostengono che i trattamenti convenzionali distruggono principalmente le cellule sensibili ai farmaci, selezionando soprattutto i ceppi di cellule resistenti che a questo punto possono replicarsi in modo più veloce e pericoloso per il paziente.
Questo nuovo approccio denominato terapia adattiva, comporta la somministrazione di farmaci a basso dosaggio ed in modo continuo allo scopo di far sopravvivere una certa percentuale delle cellule tumorali sensibili che possono competere per la loro sopravvivenza con le cellule resistenti che sono quelle la cui replicazione comporta la ricrescita del tumore e la diffusione di metastasi.
Come sostiene il dottor Robert Gatenby del Moffit Cancer Center del Research Institute in Tampa, Florida lo studio rimette in discussione il paradigma tradizionale, prevalso negli ultimi 50 anni, che sostiene che l'efficacia maggiore nel controllo dei tumori si ottiene con la somministrazione delle dosi più alte possibili utili a sradicare il tumore ma questo avviene come i dati indicano, solo nel 5% dei pazienti.
Secondo il dottor Gatenby il tentativo di eliminare tutte le cellule sensibili del tumore, selezionando e lasciando in vita soltanto quelle resistenti, si tramuta in una conseguente crescita della malattia che mette a rischio la vita dei pazienti.
Lo scopo invece della terapia adattiva è di somministrare piccole dosi, ma in modo continuo, degli stessi chemioterapici in modo da permettere anche a ceppi di cellule sensibili di sopravvivere.
La terapia adattiva sperimentata dal dottor Gatenby si basa su una somministrazione inizialmente alta del farmaco, seguita progressivamente da dosi sempre minori non appena il tumore risponde ottenendo un controllo migliore della malattia.
In questo studio sugli animali è stato visto che il trattamento è risultato così efficace che tra il 60% e l 80% dei topi ha presentato nel tempo una completa scomparsa della patologia senza presentare segni di recidiva grazie alla somministrazione continua ed a basso dosaggio.
L'effetto di una somministrazione iniziale ad alte dosi, seguita da un mantenimento a dosaggi minori, permette ad alcune cellule sensibili ai farmaci di sopravvivere, ma di competere per la sopravvivenza con le cellule resistenti, ed in questo modo si crea un equilibrio che viene mantenuto dalla somministrazione continua di dosaggi bassi del farmaco.
Il dottor Gatenby in un articolo pubblicato nel 2016 racconta di un paziente che nel 2001 ebbe la diagnosi di tumore della prostata e fu successivamente sottoposto a chirurgia con la speranza di sradicare la malattia. Nel 2011 un controllo del PSA evidenziò la ripresa di malattia ed il paziente fu sottoposto ad un ciclo di radioterapia con successiva terapia ormonale ed un ulteriore ciclo di una terapia immunitaria senza però mai raggiungere lo sradicamento del tumore.
La maggior parte dei pazienti che presentano un tumore in fase metastatica sviluppano con il tempo una resistenza alle varie terapie con conseguente progressione della malattia.
Secondo il dottor Vogelstein, un genetista presso la John Hopkins University di Baltimora, tutte le mutazioni che sono responsabili della resistenza cellulare sono già presenti nelle varie lesioni metastatiche, rendendo quindi inutile aggredire la malattia con modalità terapeutiche che mirano a distruggere in modo radicale queste cellule.
Per tale motivo il dottor Gatenby, un oncologo molecolare, che lavora al Moffit Cancer Center in Florida sostiene che invece di curare le persone con tumore cercando di sradicare tutte le cellule neoplastiche, può essere più proficuo cercare di raggiungere un equilibrio tra cellule tumorali resistenti e cellule sensibili, in modo da permettere alle prime di non prendere il sopravvento con conseguente crescita veloce della malattia.
Gli oncologi sono abituati a somministrare i farmaci in modo da ottenere la morte del maggior numero di cellule ma secondo Gatenby da un punto di vista ecologico questa strategia non ha alcuna efficacia nei tumori avanzati. Infatti le cellule resistenti sono già presenti nei vari focolai della malattia e la somministrazione di farmaci ad alte dosi distruggendo tutte le cellule sensibili lascia in vita solo le cellule resistenti che hanno così una possibilità, non contrastate, di facilitare la veloce ricrescita della malattia.
Anche il dottor Shibata un patologo presso l'Università della California sostiene che in questo tipo di pazienti tutto ciò che facciamo e rendere il loro tumore più aggressivo.
Per questo motivo il dottor Gatenby sta cercando un approccio più “soft“: la cosiddetta terapia adattiva. Egli spera di mantenere il cancro sotto controllo modificando con estrema attenzione il dosaggio e la tempistica della somministrazione dei farmaci a seconda della risposta del tumore.
L'obiettivo è quello di controllare la malattia piuttosto che eliminarla, questo approccio adattivo è stato copiato da quanto avviene nella pratica standard in agricoltura per combattere le infestazioni dei parassiti, dove i ricercatori hanno capito che l'uso di insetticidi ad alto dosaggio non ha fatto altro che selezionare gli insetti resistenti. Per tale motivo l'approccio in questo campo è stato modificato nel tempo , cercando di far convivere le popolazioni di insetti più aggressive senza cercare di sterminarle con alte dosi di insetticidi, ma cercando di tenerle sotto controllo in modo da preservare il raccolto.
In laboratorio gli studi sui topi hanno dimostrato che la terapia adattiva sembra funzionare e su questa base i ricercatori del Moffit Cancer Center di Tampa hanno iniziato uno studio clinico su pazienti con tumore della prostata in fase avanzata nei quali la terapia ormonale non viene somministrata in modo continuo , ma la somministrazione del farmaco viene interrotto a seconda della risposta del tumore. In questo modo ogni paziente esegue un controllo del PSA su base mensile, se il livello del marker scende del 50% o più rispetto al livello di partenza smette di prendere il farmaco, se al successivo controllo il marker aumenta oltre il 50% si riprende la terapia ormonale. L'obiettivo è quello di mantenere una popolazione di cellule sensibili che permetta la soppressione della crescita delle cellule resistenti. In altre parole si cerca di mantenere le cellule sensibili alla terapia ormonale (che possiamo controllare con la somministrazione del farmaco) ad un livello tale che possano inibire la crescita delle cellule resistenti che non possiamo controllare con nessuna terapia. Fino ad ora la sperimentazione sembra funzionare e permettere alle persone con una malattia in fase avanzata di poter convivere con tumore adattando il tipo di terapia alla risposta che otteniamo sulle cellule neoplastiche. La somministrazione intermittente permette anche di avere un numero minore di effetti collaterali.
In un famoso articolo uscito sulla rivista Nature nel 2009 il dottor Gatenby sosteneva che applicando i principi di biologia evoluzionistica allo studio dei tumori si potevano ottenere risultati altrettanto interessanti se si rinunciava ad avere come unico obiettivo la cura radicale della neoplasia. Inizialmente l'articolo fu poco apprezzato, anzi in molti casi molto criticato, ma con il passar del tempo in ambito scientifico ha preso piede l'ipotesi che le patologie oncologiche possono essere considerate alla stregua di patologie croniche dove l'obiettivo non è quello di curare la malattia ma in molti casi di permettere ai pazienti di convivere con la stessa.
Naturalmente il dottor Gatenby è conscio che la gran parte della Comunità di ricercatori in campo oncologico non prenda in considerazione per ora il concetto di selezione naturale nello studio dei tumori ed è convinto che ci vorrà del tempo perché sia i medici che i pazienti accettino che la modalità tradizionale di somministrare i farmaci alte dosi non sia la cura ottimale per una neoplasia in fase avanzata valutando invece in alcuni casi può rappresentare una scelta addirittura controproducente.
Alla fine del testo troverete una serie di link per leggere gli articoli usciti sull'ipotesi adattiva nel trattamento dei tumori, compreso quello pubblicato dal dottor Gatenby sulla rivista Nature nel 2009. Per chi è interessato approfondire l'argomento questi links possono essere di aiuto soprattutto per i medici che lavorano in campo oncologico e che assistono i pazienti affetti da un tumore in fase avanzata dove troppo spesso si si rischia di assistere al cosiddetto “iper trattamento” di fronte a una malattia ormai diventata resistente.
Comunque lo scopo ultimo di pubblicare questi articoli in un ambito molto difficile come quello oncologico è di tenere informati soprattutto pazienti e familiari su di una serie di problematiche che è giusto che loro conoscano per poter interagire con il personale medico ed essere opportunamente informati sulle reali possibilità di effettuare una terapia efficace.
Ulteriori approfondimenti
● https://academic.oup.com/jnci/article/104/23/1773/1044571/Cancer-and-Natural-Selection
● http://www.lastwordonnothing.com/2016/06/02/controlling-cancer-with-evolution/
● https://www.nature.com/nature/journal/v459/n7246/full/459508a.html
● http://www.nature.com/news/cancer-therapy-an-evolved-approach-1.19746