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Alcuni cambiamenti nella personalità potrebbero essere segni di una demenza precoce

Se una persona diventa improvvisamente agitata, aggressiva o irritabile, o quando, diversamente dal solito, presenta aspettative poco realistiche sulle proprie capacità o competenze, o se, da un giorno all’altro, non si cura più di nulla e non si interessa a quanto accade intorno a lei, e se questi cambi di personalità durano da oltre 6 […]

Se una persona diventa improvvisamente agitata, aggressiva o irritabile, o quando, diversamente dal solito, presenta aspettative poco realistiche sulle proprie capacità o competenze, o se, da un giorno all’altro, non si cura più di nulla e non si interessa a quanto accade intorno a lei, e se questi cambi di personalità durano da oltre 6 mesi, secondo alcuni neuropsichiatri e esperti della malattia di Alzheimer, si può sospettare uno stato iniziale di demenza. Questi esperti hanno da poco presentato alla Conferenza Internazionale di Toronto dell’Associazione Alzheimer una checklist composta da 34 domande che potrebbe un giorno essere usata per identificare le persone con un rischio più elevato di Alzheimer. La checklist indaga cinque campi: 1) interessi/motivazioni/attività. 2) umore, affetti e sintomi di ansia. 3) controllo degli impulsi, agitazione e sistema della ricompensa. 4) appropriatezza sociale. 5) pensieri, credenze e percezioni. È possibile leggere nel dettaglio, cliccando qui, la nostra traduzione in italiano della checklist.

 

Nina Silverberg, direttrice del programma Alzheimer’s Disease Centers al National Institute on Aging, afferma che c’è proprio bisogno di un nuovo strumento come questo. “Molte persone pensano che l’Alzheimer sia principalmente un decadimento della memoria ma sappiamo ormai da anni grazie a numerose ricerche che può anche cominciare con disturbi comportamentali.”

Secondo la proposta dell’équipe che ha formulato il nuovo questionario, la diagnosi di lieve deterioramento del comportamento (M.B.I.: mild behavioral impairment) sarebbe uno stadio clinico che precede il lieve declino cognitivo (M.C.I.: mild cognitive impairment), diagnosi creata più di dieci anni fa per descrivere le persone che presentano alcuni disturbi cognitivi ma ancora in grado di effettuare la maggior parte delle funzioni quotidiane.

Il Dottor Zahinoor Ismail, neuropsichiatra dell’Università di Calgary e membro del gruppo di esperti che ha proposto la nuova diagnosi, afferma che numerosi studi clinici suggeriscono che le modifiche al livello delle emozioni e del comportamento rappresentano spesso un sintomo “invisibile” che fa parte del processo della demenza e non ne è separato.

Secondo il Dottor Ismail, tutto quello che erode la memoria e le abilità cognitive nel processo della demenza può anche colpire i sistemi cerebrali che regolano le emozioni e l’autocontrollo. Se due persone hanno un lieve decadimento cognitivo, quella che presenta anche delle modifiche nell’umore e nel comportamento svilupperà più rapidamente una demenza conclamata. I pazienti affetti dal morbo di Alzheimer con questi sintomi peggiorano molto più rapidamente e, dopo il decesso, le autopsie mostrano che hanno maggiori danni cerebrali.

Ovviamente, non tutti gli anziani che hanno sbalzi di umore che si presentano nel corso dell’invecchiamento sono la manifestazione di segni sicuri di demenza. Il Dottor Ismail insiste sul fatto che affinché sia riconosciuto il “lieve deterioramento comportamentale”, il sintomo deve durare per almeno 6 mesi e non essere un breve cambio nel comportamento bensì una modifica stabile nel paziente”.

Ciò nonostante, alcuni esperti temono che definire, dare un nome e fare screening per uno stadio precoce della sindrome rischia di portare all’etichettatura di un gran numero di persone e quindi all’identificazione di molte persone che hanno un rischio elevato di sviluppare l’Alzheimer senza che ci sia ancora una terapia efficace questa malattia.

Secondo il Dottor Kenneth Langa, Professore di Medicina all’Università del Michigan e autore di numerosi articoli sul “lieve deterioramento cognitivo”, “nell’identificare persone più inclini a subire un declino, c’è il beneficio potenziale di una diagnosi precoce. Ma il rovescio della medaglia è l’overdiagnosi, cioè etichettare una persona e coinvolgere sempre più persone in una sorta di tunnel sanitario, in cui cominci con il fare esami su esami con tutta l’ansia che ne consegue per il paziente e i suoi famigliari…”.

Inoltre – e non è una considerazione secondaria - se diventa una routine, non si può sottovalutare l’enorme spesa che tutto ciò rappresenta.

Nei suoi articoli sul “lieve deterioramento cognitivo”, il Dottor Langa ha mostrato come molte persone con questa diagnosi non hanno sviluppato neanche dieci anni dopo una demenza conclamata e 20% di essi sono stati considerati in un controllo successivo come “normali” dal punto di vista cognitivo. Questo è potuto accadere perché il giorno in cui è stata fatta loro la prima diagnosi le loro funzioni cognitive erano più basse del solito, a causa per esempio di uno stress passeggero o a causa dell’assunzione di medicine per altre patologie. Il Dottor Langa si raccomanda quindi che il nuovo questionario sia meticolosamente testato da diversi ricercatori prima di essere utilizzato dai medici.

Altri sono molto più entusiasti: “Dobbiamo migliorare la nostra abilità a identificare le persone a rischio” sostiene il Dottor Arthur Toga, neuroscienziato all’Università della California del Sud.

 

Il Dottor Toga racconta di sua madre, un’insegnante in pensione, che mostrava nel corso dei suoi 70 anni una grande frustrazione e diverse modifiche dell’umore, molti anni prima che sviluppasse l’Alzheimer. Il Dottor Toga crede che la modifica dell’umore di sua madre derivasse dallo sgomento che provava mentre tentava di nascondere qualcosa che i suoi familiari non avevano ancora notato, per esempio la sua difficoltà a ricordare alcune parole.

Infatti, come sostengono molti ricercatori, i test della memoria non sono sempre affidabili nel rilevare disturbi precoci perché molte persone, in particolare quelle con livelli culturali più alti, possono essere così allenati a rispondere ai test che i loro risultati non riflettono realmente il deterioramento delle loro capacità cognitive.

La Dottoressa Mary Ganguli, Professoressa di Psichiatria, Neurologia e Epidemiologia all’Università di Pittsburgh, afferma che spesso le persone si presentano ai colloqui per riportare che qualche loro familiare ha smesso di fare cose che ha sempre fatto con molto piacere, come preparare torte o armeggiare con il tosaerba a primavera.

Neanche il paziente ne sa bene il motivo. Possono essere disinteressati da queste attività perché non riescono più a ricordare come si facessero.

Di solito, quando la Dottoressa Ganguli chiede se il paziente sta avendo problemi nel ricordare le cose rispondono di sì ma insistono sul fatto che non rappresenta il problema più grave. Ma se la Dottoressa esegue un test riscontra evidenti disturbi della memoria.

Alcuni esperti favorevoli alla nuova diagnosi affermano che diversamente dai più comuni disturbi cognitivi, alcuni sintomi dell’umore e del comportamento potrebbero essere trattati con terapie e medicine. “Possiamo farli dormire meglio, possiamo alleggerire gli effetti della depressione, possiamo aiutare la famiglia ad imparare come gestire i problemi” afferma la Dottoressa Ganguli.

Il Dottor Ismail afferma che l’apatia è il sintomo più comune ma ha osservato modifiche più evidenti: cita gli esempi di una paziente settantenne diventata improvvisamente disinibita, di un uomo molto rispettoso della legge che ha iniziato da un giorno all’altro a drogarsi. Entrambi hanno poi sviluppato demenza.

Le modifiche dell’umore e del comportamento sono ormai riconosciute come segnali precursori di demenza frontotemporale, ovvero di circa il 10% dei casi di demenza.

Palmer Posvar, una paziente della Dottoressa Ganguli, aveva più o meno 50 anni quando, come racconta il marito, ha iniziato a prendere il cibo dai piatti degli altri commensali, a chiedere prestiti agli amici provando a dare in pegno gioielli di famiglia. A 54 anni, si è scoperto che era affetta da demenza frontotemporale. Adesso, a 64 anni, la signora Posvar non è più in grado di parlare e cade così di frequente che recentemente si è dovuta trasferire in una casa di cura.

Tuttavia, quando gli si chiede cosa pensi della creazione della categoria del “lieve deterioramento comportamentale”, il marito della signora Posvar afferma che la diagnosi precoce è un’arma a doppio taglio.

Da una parte ci sono medicine cha aiutano a gestire l’umore e il comportamento e i test possono indicare chi ne può usufruire, dall’altra, questa diagnosi entra a far parte della cartella clinica accessibile alle compagnie assicurative o ai datori di lavoro e non sono dati che si divulgano con piacere. E poi, c’è da chiedersi se una persona “lo vuole proprio sapere visto che non ci sono ancora cure efficaci!”

Alcuni esperti credono che i benefici della nuova diagnosi superino gli svantaggi.

“Non dovremmo ignorare questi disturbi comportamentali in attesa che si manifestino disturbi cognitivi” - conclude la Dottoressa Ganguli – “perché rischieremmo di perdere una buona opportunità per prevedere percorsi mirati di assistenza sia per il malato che epr i suoi familiari”.

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