In questo articolo del NY Times del 1999 troverete una lunga revisione fatta dopo anni di fallimenti contro una nuova cura per il cancro basata sulla somministrazione di chemioterapici ad alti dosaggi, dove si vede come la pressione delle case farmaceutiche ed il ritorno economico per ospedali e gli stessi medici avevano alimentato questa speranza.
Per chi lavora in un servizio di cure palliative è normale prendere in assistenza frequentemente di pazienti con tumore avanzato e con un'aspettativa di vita limitata. La maggioranza ha già provato una combinazione di chirurgia, chemioterapia e radioterapia. Molti sono rientrati in ospedale perché il cancro si è manifestato con una recidiva o con una ripresa di malattia, spesso con presenza di metastasi diffuse, accompagnata frequentemente da un dolore intrattabile o da difficoltà a respirare.
Questa fase della malattia coincide spesso con il momento in cui i pazienti decidono di interrompere la lotta contro il cancro per affidarsi alle cure palliative e iniziare un percorso nuovo di malattia che coincide con la fine della vita. Il momento di transizione può essere molto delicato. Questo percorso, che probabilmente andrebbe programmato precocemente nel corso dell'assistenza, avviene sempre con una modalità improvvise, ed è spesso vissuto dal parente e dai suoi familiari con un senso di abbandono da parte dei medici che per mesi o anni li hanno assistiti durante la fase curativa contro il tumore. Tutto ciò avviene ancora frequentemente nei nostri reparti di oncologia. Anche se in Italia esiste da anni ormai un'ottima legge per le cure palliative che dovrebbe permettere il passaggio dalla fase curativa alla fase di accompagnamento nella ultima parte della vita, e secondo alcuni studi anche prima.
Negli ultimi 20 anni, è stato dimostrato che le cure palliative riducono il dolore, migliorano la qualità della vita e, in alcuni casi, prolungano la vita.
A livello internazionale si consiglia di inserire precocemente un servizio di cure palliative nel corso delle terapie oncologiche, questo purtroppo avviene tardivamente, ed in modo spesso improvviso ed ultimamente si è ulteriormente complicato, soprattutto a livello mediatico, da quando si comincia a parlare di nuove terapie che sembrano dare risultati molto interessanti per pazienti dove le possibilità d’ulteriori cure è finita. Tutto ciò ha gettato una nuova chiave nel modo in cui è possibile assistere i pazienti con cancro avanzato.
Negli ultimi anni è comparsa una nuova generazione di trattamenti contro il cancro. Alcuni di questi farmaci, chiamati immunoterapici, sfruttano il sistema immunitario del paziente per combattere un tumore. Altri, noti come terapie mirate, bloccano determinate molecole che permettono al tumore di crescere e di diffondersi nella fase metastatica. La letteratura medica - di solito circospetta quando si parla di nuovi trattamenti per il cancro, alla luce di trattamenti spesso troppo sopravvalutati in passato - ora descrive queste nuove modalità terapeutiche con termini come "rivoluzionarie e potenzialmente curative".
Molto è stato scritto sulla promessa di questi trattamenti, molti costano diverse centinaia di migliaia di dollari all'anno. Ma ciò che colpisce di più è che, confondono la linea che separa la fase della cura da quella del conforto e dell’accompagnamento. Tutto ciò ha sconvolto il fragile equilibrio che che si cercava di raggiungere in tutti quei pazienti che, in una fase avanzata di malattia, dovevano essere supportati nella fase finale della loro vita.
Ultimamente gli oncologi stanno considerando di suggerire queste nuove terapia a pazienti una volta idonei per le cure palliative e che ora giustamente sperano di poter avere un ulteriore possibilità di cura.
La disponibilità di nuove terapie, ovviamente, sembra una notizia meravigliosa per i pazienti e i loro cari. E se questi nuovi trattamenti funzionassero la maggior parte del tempo, questa notizia dovrebbe essere diffusa nel modo più corretto possibile. Ma questa informazione non è sempre accurata.
Una recente analisi ha stimato che circa il 15 -20% dei pazienti con cancro avanzato potrebbe trarre beneficio dall'immunoterapia - ed è quasi impossibile determinare quali pazienti avranno una risposta positiva.
Proprio la scorsa settimana, uno studio sui pazienti con cancro del polmone ha dimostrato i benefici complessivi della combinazione dell'immunoterapia con la chemioterapia tradizionale. Ma anche qui, i ricercatori hanno notato che la maggior parte dei pazienti che vengono inseriti in queste sperimentazioni cliniche non risponderà ai nuovi trattamenti e non è ancora possibile prevedere con certezza chi ne trarrà beneficio. In alcuni casi, gli effetti collaterali sono terribili, diversi da quelli della chemioterapia, ma spesso altrettanto debilitanti.
Con i pazienti e membri della famiglia pronti ad aggrapparsi ad ogni speranza, anche una piccola possibilità di cura o di remissione prolungata farà sì che la maggioranza cerchi di ricorrere alle nuove modalità terapeutiche. In una società, e conseguentemente un sistema sanitario ed anche una cultura medica, che spinge i pazienti verso qualsiasi nuova modalità terapeutica, questo significa che la maggior parte di loro tenderà a rinunciare alle cure palliative. Purtroppo è noto che nonostante il valore indiscusso della assistenza in Hospice (con ricovero o a domicilio), molti pazienti con cancro ad uno stadio avanzato non ne approfittano, o lo fanno solo nei ultimi giorni di vita, dopo aver sofferto inutilmente per settimane o mesi. Questa nuova speranza di terapie miracolose, di cui sino ad ora si hanno pochi riscontri, probabilmente peggiorerà la situazione.
Nell'ultimo anno presso la nostra associazione abbiamo preso in carico numerosi pazienti in fase di malattia avanzata dove non esistevano possibilità terapeutiche oltre l'inserimento in un percorso di cure palliative. Le notizie ormai diffuse su queste nuove modalità di trattamento in particolare l'immunoterapia li hanno spinti a rivolgersi ai vari centri italiani dove era possibile effettuare una di queste nuove terapie. Nella maggior parte dei casi non sono riusciti a entrare in un protocollo di ricerca, altri, ma in numero ridotto, hanno utilizzato le nuove terapie spesso con effetti collaterali di una certa importanza.
Cosa possiamo fare per migliorare questa situazione?
In primo luogo, è opportuno ricordare che molti pazienti possono trarre beneficio da una assistenza palliativa anche se continuano un trattamento oncologico curativo. Nel 2016 l' American Society of Clinica Oncologi ha raccomandato che le cure simultanee - cure palliative e trattamenti oncologici associati- siano rese disponibili per i pazienti con cancro avanzato.
In secondo luogo, i medici in genere hanno bisogno di una maggiore formazione su come comportarsi con i pazienti alla luce di questi nuovi trattamenti contro il cancro. Infine, negli Stati Uniti attraverso un programma federale, il governo sta spendendo centinaia di milioni di dollari per studiare l'immunoterapia e altre opzioni terapeutiche emergenti per il cancro. Quanto prima si riuscirà ‘a capire quali pazienti, trarranno beneficio da questi approcci, tanto meglio sarà per i malati.
Purtroppo, per molti pazienti, questo obiettivo potrebbe risultare difficilmente raggiungibile. Infatti ancora non è possibile sapere quali pazienti possono beneficiare di queste nuove modalità, se saranno accessibili a tutti ed a quali costi. Quest’ultimo punto è molto controverso e nasconde comunque l’interesse delle case farmaceutiche a presentare queste nuove terapie come “miracolose” senza valutare che il costo per i malati o per la società sarà talmente elevato da obbligare in futuro una attenta selezione dei pazienti idonei, selezione che rischia di essere condizionata dal reddito.
Mentre continuiamo a inseguire i progressi nella cura del cancro, assicuriamoci di non derubare i pazienti morenti di un percorso più semplice e più utile: una morte con dignità e serena, possibilmente libera da dolore e sofferenza.
Bibliografia